Non-fare

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L’allievo riesce a provare qualcosa di un’altra realtà di vita solo allorquando comincia a comprendere un po’ le leggi che reggono la trama della sua vita attuale. Questa possibilità non si basa allora su un sublime pensiero suggeritogli dalla Scuola Spirituale, ma è la vita stessa a insegnarglielo.

Quando la personalità-ego non ragiona più, ma si pone nella vita stessa, si lascia vivere dalla vita, allora comincia a sapere. La sua coscienza nella materia si sposta lentamente verso la “causa” della sua esistenza, e immediatamente e intensamente l’allievo risale il filo delle conseguenze fino alla causa. E cosa scopre allora? Che l’intera vita dell’uomo è fatta delle sue idee sulla vita.

Questa convinzione è onnipresente: essa possiede la forza di dare forma alla vita dialettica secondo la sua idea. La nostra situazione personale attuale risulta dunque dalla nostra convinzione anteriore che agisce come una forza. Noi non ne eravamo ancora coscienti, poiché l’uomo ignora che, in quanto creatore, egli manipola continuamente delle forze. Di qui la sua incoscienza e l’esclamazione: “Perdona loro, perché non sanno quello che fanno!”.

Solo quando un uomo prende coscienza di se stesso, vede la forza che scaturisce da tutti i suoi atti, sentimenti e pensieri. Allora – grazie a Dio – comincia a comprendere.
Ogni uomo ha, consciamente o inconsciamente, la propria concezione della vita.

Essa si modifica logicamente in funzione di una conoscenza nuova, di esperienze vissute, di diverse circostanze nella vita, ma egli avrà sempre fede in questa sua concezione di vita perché, convinto che sia giusta, essa diventa per lui una verità, la sua verità. La sua personalità e la sua maniera di vivere si conformano dunque a questa concezione di vita.

Se questa esperienza personale della verità fosse in sintonia con la volontà universale, con la Gnosi, non vi sarebbero ostacoli. La volontà dell’Universale sarebbe la nostra volontà, i desideri dell’Universale sarebbero i nostri desideri, la comprensione sarebbe il nostro retaggio!

Purtroppo la nostra intelligenza recalcitrante, i nostri sentimenti e le nostre azioni pongono continuamente degli ostacoli tra ciò che noi desidereremmo e ciò verso cui la Volontà universale ci spinge.

Vediamo, per esempio, la personalità rivoltarsi sempre più contro la malattia, l’infortunio, l’insuccesso…. ma, proprio con questa rivolta contro ciò che la personalità non desidera, si attirano le forze che, per loro natura, si oppongono alla Volontà universale. E la contronatura si rafforza.

Ma la forza originale vive! L’Eterno che non è mai nato, ciò che è simile a se stesso, il Veritiero, spezza la contronatura. Il che ci permette di constatare che la nostra volontà è il nostro più grande nemico, essa non ci dà tregua, poiché, se desideriamo costruire qualcosa, è il contrario di ciò che volevamo che edifichiamo. Non è possibile prendere coscienza se non in comunione con il Principio originale, con la Vita stessa.

Questa forza originale era, ed è sempre, anche in noi. Se ne prendiamo coscienza come della forza che dirige l’Universo e che regge anche il nostro universo microcosmico, allora possiamo abbandonare i nostri desideri personali, affinché si esprima la Vita vera della forza originale.

Quando l’uomo prende coscienza di questa profonda realtà, può far tacere la propria volontà, e riceve allora la Vita, semplicemente, come un dono. E con questo dono gli è data, in esclusività e in pieno amore, l’unica lezione della Vita che tutto comprende.

Il volere noi stessi qualcosa non ha allora più alcun senso. Al posto della volontà impulsiva si manifesta ora la convinzione che deriva dal sapere, da una comprensione interiore delle leggi della realizzazione della vita.

L’uomo che vuole qualcosa sulla base di questa folle volontà, di questo insensato desiderio, di questo impulso e di questa speranza di successo, di salute o di fortuna, che cerca di realizzare una organizzazione perfetta, è autore della propria malattia, dei propri fallimenti, delle proprie rivolte. Ed è totalmente impotente di fronte a tutto ciò. Gli manca ancora la comprensione; per questo soffre.

Sviluppo e presa di coscienza sono accompagnati da sofferenza. Solo questa gli fa comprendere i suoi errori e le sue colpe, e, attraverso questa profonda comprensione, lo conduce sempre più vicino alla liberazione, cioè alla comprensione della verità, della realtà dietro il velo dei nostri desideri illusori. Una tranquilla perseveranza in tutte le circostanze, in autoresa totale, esprime la convinzione che, quando ci affidiamo alla forza fondamentale della vita, accade solo ciò che è necessario.

Avere la convinzione, il sapere interiore, che quanto accade in virtù delle eterne leggi è l’unico necessario significa sottomettere la propria volontà alla volontà creatrice della vita. E ciò si rivela attraverso la calma in ogni circostanza.

La cosa fondamentale è che noi non dobbiamo preoccuparci di determinare personalmente la nostra vita, poiché è la forza fondamentale, per l’intervento della legge dell’eterno equilibrio, che costruisce l’uomo vero secondo questa legge, a condizione che l’ego si sottometta ad essa senza restrizioni.

E’ importante sapere ciò, poiché ci liberiamo così dall’angoscia, dalla preoccupazione e dalla paura rispetto a ogni responsabilità che non saremmo in grado di assumere.
Dobbiamo solo fare nel presente, pienamente responsabili, quanto, secondo il nostro sapere e la nostra coscienza, riteniamo necessario.

La messa “fuori circuito” della volontà-ego è resa possibile grazie a questa nozione, come pure grazie a quella delle altre debolezze umane. L’uomo originale, infatti, nasce solo dall’unico bene, mentre ogni debolezza e ogni cattiveria provengono solo dall’ignoranza. E come l’ignoranza sparisce nella resa alla saggezza e alle direttive del Signore di ogni vita, così il “male” si dilegua come neve al sole.

Nell’universo, tutto si compie secondo leggi eterne e immutabili. Il seme può produrre solo un determinato frutto; il fiume non può risalire al di là della sua sorgente. Un piano ben preciso è alla base della vita, e l’uomo è compreso in questo piano gigantesco. Se non lo conosce, ne deriva una ragione oscura, il tentennare di una volontà cieca. Tuttavia, le leggi della vita sono correttrici. Ogni malattia, ogni insuccesso formano come un ponte verso una nuova presa di coscienza. Ciò sia per l’allievo gioia e consolazione!

Questa nuova presa di coscienza permette all’uomo di riconoscere un piano che proviene da una forza direttrice. Più la sua comprensione dei processi vitali aumenta, più egli desidera l’autoresa alla forza fondamentale, al principio direttivo in lui. Egli vive grazie alla Gnosi, grazie alla forza fondamentale.

L’uomo non desidera nulla più della vita, eppure non vi è nulla di cui diffidi di più della vita stessa. Egli non osa abbandonarsi ad essa. Si preoccupa del proprio avvenire, tenta di assicurarselo con tutte le sue forze. Ma così non riuscirà mai, poiché la chiave di ogni divenire sta nel sapere e, attraverso il sapere, nella fiducia. La fiducia è una forza; la si ottiene col riconoscere la vita direttrice. Si potrebbe trovare un miglior maestro della vita stessa?

Solo allorché sappiamo che, come piccoli esseri ego, non possiamo nulla da noi stessi, che non possiamo cambiare nulla; solo allorché prendiamo coscienza che ogni atto, ogni passo, è già determinato dalle nostre vite precedenti, solo allora la nostra volontà muore, e con essa muoiono l’inquietudine, la speranza, l’attesa, l’ostinazione, l’irritazione, la gelosia, l’odio, ecc. L’uomo diventa d’una calma senza limiti, egli si affida alla forza fondamentale e si abbandona senza cercare di determinare il suo destino.

Egli vive esclusivamente nel presente e, basandosi sul proprio sapere e sulla propria coscienza, fa solo ciò verso cui la vita lo spinge. L’unico “agire” possibile per un allievo sul cammino è il “non-fare” ciò che egli stesso desidera. Il segreto del non-fare sta nell’abbandonarsi alla vita. Questo è agire.

Tutta la nostra attenzione dev’essere rivolta verso questo “agire” intenso, interiore. Il tirocinio consiste, in fondo, nell’unire coscientemente la propria natura inferiore alla volontà dell’anima nuova in divenire, che non è altro che la volontà stessa di Dio. La gioia del tirocinio sta nel provare e nel trovare in se stessi la possibilità di abbandonare la presa e, in questo abbandono, di andare incontro a un vuoto nel quale si trova la plenitudine.

Questo è il quarto di una serie di post sul tema “Agire o non agire?” Clicca qua per leggere il quinto post.