Per continuare nelle nostre riflessioni si rende necessario comprendere cosa vuol dire essere mite.
Per spiegare la parola ‘mite’ senza celebrare questa virtù, come invece fanno cantici e inni, ricordiamo i seguenti punti essenziali. Essere mite è possedere la forza dell’equilibrio interiore; l’equilibrio interiore nasce quando siamo coscienti dell’essenza della vita e della nostra relazione con l’universo. Essere mite è fare la continua esperienza della non-dualità.
Essere mite è essere perfettamente non-combattivi; e la non-combattività è una forza che supera la violenza. E’ una forza che proviene dall’unità, dall’unità della Vita universale, dall’unità dell’universo. In essa ogni giudizio e ogni critica possibile scompaiono.
Essere mite è fare del comandamento di Cristo “Amate i vostri nemici” uno stato d’essere. Questo comandamento non differisce dalle antiche tradizioni, che non miravano ad altro che a condurre l’uomo alla perfezione, alla totalità e all’unità. Si crede che essere mite e amare i propri nemici sia riservato alla vita monastica e che non sia affatto possibile nella vita quotidiana, poiché nelle relazioni umane si manifestano sempre rivalità, cupidigia, ambizione, gelosia e collera.
Come si verifica ciò? Quando un individuo dice a un altro “Ti amo” vuol dire anche “Amami!”. E’ un’emozione che, nel darsi, reclama qualcosa di ritorno. Non è disinteressata. E se il nostro bisogno d’essere amati non viene soddisfatto, ecco apparire violenza, aggressione e odio. Quello che noi chiamiamo ‘amore’ non è quindi un sentimento puro, ma un’emozione oscura, che può trasformarsi nel suo contrario e che è del tutto egocentrica.
Non è questo ‘amore’ che rende mite, poiché tutto ciò che è egocentrico reclama qualcosa per sé, reclama qualcosa in cambio di quanto dà. Quando non l’ottiene, quando non riceve nulla in contropartita, è deluso, indignato. Tenta allora di ottenere quello che non arriva spontaneamente, esercitando una pressione, sviluppando tensione, violenza, aggressione, cattiveria ecc.
Noi chiamiamo bene ciò che amiamo e che ci ama e chiamiamo male ciò che non amiamo e che non ci ama, saltellando tra questi due opposti. Viviamo in una continua agitazione emotiva. La nostra coscienza è simile a una candela accesa tremolante nella corrente d’aria che si crea tra due opposte aperture; essa non può quindi rischiarare l’intero ambiente, o lo fa in modo insufficiente.
L’origine di tutto questo è l’orientamento sull’ego, sull’”io” sulla nostra piccola persona, distinta da tutte le altre. La coscienza dell’uomo non va al di là di questo. Egli crede d’essere soltanto questa particella, questo frammento. Egli s’identifica da un lato con il corpo, le pulsioni, gli istinti, dall’altro con la ragione, l’intelletto, l’occulto, il trascendente, e ne è posseduto. E ogni volta che l’uomo è posseduto da qualche potenza – sia essa la scienza o la tecnologia, il denaro o il prestigio, un’ideologia o l’occultismo – egli perde il suo equilibrio.
Noi siamo continuamente fuori dal nostro equilibrio, senza stabilità. Siamo sballottati qui e là, dal buono verso il meno buono, da quello che desideriamo a quello che non desideriamo. Finché la coscienza è accoppiata con l’ego – che divide e limita, giudica e condanna secondo le sue divisioni e le sue limitazioni – non può nascere alcun equilibrio interiore, ed è dunque impossibile essere mite.
Perché essere mite è avere il coraggio di non giudicare più, di perdonare tutti gli errori e amare anche i propri nemici. E quando si amano i propri nemici, non vi sono più nemici. Chi è mite non è mai egocentrico. Chi è mite non forza nulla. Chi è mite è senza violenza, senza tensioni, senza vendetta, senza aggressività, senza cattiveria, poiché la radice della violenza è l’ego limitato. Quando l’ego possiede qualcosa – ed egli possiede anche la personalità – lo difende con violenza. Il mite non vive più per l’ego. Il mite è liberato dall’egocentrismo.
Questo è il quinto di una serie di post sul tema “Agire o non agire?” Clicca qua per leggere il sesto post.