Il conflitto interiore

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La Scuola Spirituale della Rosacroce d’Oro rivela l’Insegnamento Universale, la cui essenza non si trasmette tramite parole o scritti, ma per mezzo di una forza.

Il termine “universale” è dovuto al fatto che questa forza si manifesta costantemente in tutte le epoche, in tutte le razze e nell’intero campo di vita terrestre. Questa forza cerca ciò che si è perduto da tempi immemorabili. Essa chiama senza sosta l’uomo per renderlo cosciente della sua vocazione originale e della nobiltà della sua origine.

Il divenire cosciente, il rinnovamento e l’elevazione in un nuovo stato d’essere è quindi il fine dell’intervento universale. Questo fine è più o meno chiaramente espresso in molti scritti, leggende e miti di svariati popoli. Uno di questi è la Bhagavad Gita, il Canto del Beato.

La Bhagavad Gita può essere considerata il vangelo dell’India; essa fa parte del Mahabharata, un poema epico, e illustra il dialogo tra Arjuna e Krishna negli istanti che precedono la battaglia tra due eserciti.

Arjuna, comandante di uno dei due eserciti, si fa condurre sul campo di battaglia nel suo carro da combattimento: vuole dare un’occhiata all’esercito nemico contro cui dovrà ben presto combattere.

Tra i ranghi nemici egli riconosce molti parenti e vecchi amici, per cui, pensando che si sta preparando a uccidere uomini che ama profondamente viene assalito dal dubbio. In piena sofferenza, getta arco e frecce sul campo di battaglia e si appresta a ritirarsi. Come potrebbe infatti combattere i suoi amici e coloro a cui è unito dai legami del sangue?

Krishna, incarnazione del dio Vishnu nella trinità indù, suo amico e conduttore del carro, lo sostiene in questo momento di dubbio, rammentandogli il suo compito quale comandante dell’esercito e spronandolo a fare il suo dovere senza attaccamento.

Arjuna decide di combattere

Le argomentazioni di Krishna occupano la maggior parte del poema. Non vengono trattati solo i problemi personali di Arjuna, ma anche il significato e la comprensione dell’azione; si tratta del senso della vita e del fine per cui l’uomo deve lottare e soffrire su questa terra. Alla fine del dialogo Arjuna ha rivisto la sua posizione, è pronto a lottare e il combattimento inizia.

Come tutti i vangeli, anche la Bhagavad Gita può essere letta e compresa in un senso puramente esteriore e letterale. In tal caso si potrebbe concludere che questo poema approva la guerra e va contro l’insegnamento del Cristo, di Budda e di molti altri messaggeri dello Spirito, i quali dicono: “Amate i vostri nemici e fate del bene a chi vi odia”.

Queste parole sembrano in contraddizione con quelle di Krishna, che cerca di convincere Arjuna della legittimità del suo compito in quanto comandante dell’esercito. Ma dietro l’apparenza esteriore è celato un messaggio di ben altro significato.
I vangeli cristiani descrivono un processo interiore con l’aiuto delle figure centrali di Giovanni e di Gesù. Altrettanto accade nella Bhagavad Gita, dove Arjuna è l’uomo che si sforza di giungere alla coscienza e alla liberazione.

Si tratta di un principe, il che indica che un’eredità regale lo attende. In lui il principio divino è uscito dal sonno: è la forza centrale che i Rosacroce chiamano Rosa del cuore.

Nel suo combattimento Arjuna è sostenuto da Krishna, suo amico e consigliere divino. Krishna è la nuova coscienza dell’anima, che si risveglia nell’uomo pieno d’aspirazione. Questa nuova influenza, così diversa, è riconosciuta intuitivamente da Arjuna solo di tanto in tanto.

Per la maggior parte del tempo egli tratta Krishna come un suo simile, poiché gli manca ancora il vero potere del discernimento.
Il teatro del combattimento decisivo è la piana di Kurukshetra, termine che significa “luogo consacrato ai pellegrini”. Questo luogo è il cuore.

Nell’insegnamento della saggezza universale il cuore è il centro della personalità umana e nel contempo un organo particolare, che possiede una certa sensibilità alle influenze provenienti dal nucleo del microcosmo. Per cui il pellegrino sul cammino del rinnovamento deve vegliare e purificare senza sosta il suo cuore, al fine di farne un luogo sacro.

Questo significa che dovrà progressivamente congedarsi da tutto quello che lo lega al suo vecchio stato d’essere e perseverare in questo atteggiamento in modo conseguente. E’ solo liberandosi dai vecchi legami che il nuovo impulso può prendere slancio fino a prevalere. Solo così Krishna, la guida, l’intimo consigliere, può divenire più forte e attivo.

In questa fase la luce e le tenebre s’incontrano nell’allievo, suscitando un grande conflitto interiore. Ma questo stato non può durare, poiché così causerebbe un affaticamento mortale e un grande smarrimento.

Dopo una fase di preparazione l’uomo deve dunque prendere, al momento giusto, una decisione definitiva: o avanzare con la luce o ostinarsi egoisticamente pensando solo alla propria autoconservazione.

Prima che la battaglia inizi e porti ad una soluzione definitiva, il cuore deve divenire “il luogo consacrato ai pellegrini”. E la condizione che determina questo stato è la coscienza di sé.
Così Arjuna, prima di combattere, si reca sul teatro delle operazioni per gettare uno sguardo sul campo di battaglia; ma una volta giuntovi, scorge il nemico e si spaventa: davanti a lui si trovano molti amici e parenti!